25 Aprile festa della Liberazione

Il discorso del presidente della Provincia Gianni Michele Padovani

Data: Martedì, 25 Aprile 2023

Tempo di lettura: 5 min

Immagine: bandiera italiana

25 APRILE

78° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

Ferrara, 25 aprile 2023

 

        

         Autorità militari, civili e religiose,

         Associazioni combattenti e d’armi,

         Rappresentanti della Scuola, studenti e insegnanti,

         Cittadine e Cittadini

 

         Mai avremmo pensato che 78 anni dopo il 25 Aprile 1945, dovessimo assistere di nuovo a una guerra alle porte dell’Europa.

 

         Trovo sorprendente la persistenza di alcuni accenti del dibattito in corso, quando dovrebbe essere chiaro che il 24 febbraio di un anno fa le forze armate della Federazione Russa hanno invaso l’Ucraina.

 

         Una guerra - perché noi siamo liberi di chiamarla con il suo vero nome - che non trova alcuna giustificazione.

 

        Come ha detto il Capo dello Stato durante la visita a Ferrara lo scorso 4 aprile, siamo di fronte a un’aggressione “fuori dal tempo e dalla storia; “comportamenti da potenze del secolo scorso che conducono a guerre di aggressione per annettere territori”.

 

         Un attacco violento che rappresenta un pericolo non soltanto per l’Ucraina, ma per tutti gli europei e per l’intera comunità internazionale.

 

         Il “pesante senso di allarme” espresso dallo stesso Sergio Mattarella, il 25 Aprile di un anno fa, è anche il nostro pensiero per la popolazione ucraina colpita dalle bombe nelle case, negli ospedali, nei mercati, nelle fermate dell’autobus e nei centri di assistenza umanitaria.

 

         I riscontri penali accertati di recente da una Corte internazionale, attestano la gravità dei crimini commessi contro gli ucraini.

 

         E pensando a loro, anche a me – come al Capo dello Stato e alla senatrice Liliana Segre –, sono venute in mente le celebri parole di Bella ciao: “Questa mattina mi sono svegliato e ho trovato l’invasor”.

 

         Un parallelo che non deve sembrare fuori luogo, quando la festa del 25 Aprile ricorda la durissima lotta di liberazione dal nazifascismo.

 

         Desta stupore la propaganda di un’operazione militare speciale scatenata per denazificare un paese, quando i vertici di una brigata tristemente nota sul fronte russo, hanno tatuati sul corpo gli stessi simboli nazisti che intenderebbero sradicare.

 

         Anche allora, fino al 1945, a pagare le conseguenze di una guerra tra le più disastrose, furono i civili: una crudele e spietata spirale di violenza che resta incancellabile nei registri della storia, culminata nell’orrore della Shoah.

 

         Senza mai dimenticare l’intervento decisivo delle forze alleate, contro questo disegno di dominio e di sterminio si è opposto un intero movimento di Resistenza, nel nome dei principi di libertà e di comune appartenenza alla famiglia umana.

 

         Come insegnano da anni i nostri Presidenti della Repubblica, in una sorta di esemplare pedagogia civile, resistenti furono i combattenti delle montagne, le staffette partigiane, i militari che a costo della deportazione rifiutarono di entrare nelle file di Salò, le tante persone che ospitarono ebrei, militari alleati o ricercati politici.

 

         Furono resistenti gli operai che osarono scioperare, chi stampava volantini e giornali clandestini, intellettuali, parroci e monasteri che seppero dare riparo e rifugio.

 

         E lo furono le vittime innocenti delle tante stragi e rappresaglie, come avvenne anche a pochi metri da qui, davanti al muretto del Castello.

 

         Questo fiume storico è confluito nella nostra Costituzione, innanzitutto scritta con la vita di chi ha lottato per la libertà, la giustizia, la pace e la democrazia.

 

         La Liberazione tuttora disegna lo spazio delle nostre libertà democratiche e trovo di nuovo sorprendente come si fatichi a fondare la nostra unità nazionale sul principio dell’antifascismo.

 

         Chi ha studiato con serietà e rigore carte e documenti, ci racconta che la violenza è l’atto fondante del fascismo, non una sua degenerazione.

 

         Un uso spregiudicato, compiaciuto e sistematico della violenza e della prepotenza, che però non si spiega pienamente senza la negligenza della Storia, l’insipienza della politica e le incertezze della Chiesa, che avrebbero dovuto comprendere e invece non posero argine all’onda più alta e brutale dell’eversione, fino alle cruciali debolezze della monarchia.

 

          Come è stato scritto, la vita e la morte di Giacomo Matteotti, restano fra i simboli di un’Italia che è esistita e non si è piegata.

 

         Proviamo a pensare quanto figure come Gobetti, Amendola, Gramsci, Matteotti, i fratelli Rosselli, don Giovanni Minzoni – per non citarne che alcune – avrebbero contribuito a costruire un’Italia migliore.

 

         Per il fascismo i cittadini non erano tutti uguali. Gli uomini valevano più delle donne, i bianchi dei neri, i cattolici degli ebrei, i fascisti degli antifascisti, gli eterosessuali degli omosessuali, i forti dei deboli.

        

         Il fascismo non credeva nella libertà, da qui il disprezzo per la democrazia e il dileggio del Parlamento.

 

         Noi oggi celebriamo, invece, la festa della libertà e il ricordo chi ha dato la vita per questo.

 

         Celebriamo, invece, il diritto di appartenere a un’unica razza: quella umana.

 

         E celebriamo la libertà per tutti di avere opinioni diverse, senza per questo rischiare il carcere o la vita.

 

         Viva, dunque, il 25 Aprile, viva l’Italia, viva l’Europa che su questi valori è stata fondata.

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Ultimo aggiornamento:Martedì, 25 Aprile 2023